Il ruolo dello psicologo all’interno di un reparto onco-ematologico per adulti è fondamentale, in quanto permette al paziente di comprendere ed elaborare un vissuto così traumatico e favorire una maggiore compliance alle terapie. Avere un equipe formata non solo da medici ed infermieri ma anche da psicologi permette di arricchire le relazioni di tutti i professionisti con il paziente. Medici, infermieri e psicologi vedono il paziente da prospettive diverse e in momenti diversi del suo percorso di cura: diagnosi, controlli, prelievi, somministrazioni delle terapie, esiti degli esami, ecc. Risulta pertanto importante integrare tutte queste esperienze per comprendere al meglio il paziente.
Il lavoro di equipe non è fondamentale solo per il personale ma anche per il paziente stesso che avrà la sensazione di essere accolto a 360°, sentendosi visto non solo appunto come paziente ma anche come persona, non solo per i suoi bisogni di cure mediche ma anche di sostegno psicologico.
La malattia onco-ematologica sconvolge repentinamente, e spesso completamente, la vita quotidiana e l’esistenza della persona. Nei colloqui con i pazienti la malattia, sia essa leucemia, linfoma o mieloma, viene descritta in tanti modi, ci sono pazienti che non riescono a nominarla e la chiamano “il brutto male” e questo permette loro di tenerla distante, a volte però questo vissuto nasce da un retaggio sociale che considera il tumore come un tabù a causa del quale bisogna nascondersi e chiudersi in se stessi. Per questo ritengo sia importante diffondere il più possibile informazioni riguardo alla malattia, alla prevenzione, al vissuto emotivo che questa malattia porta con sé, per superare lo stigma sociale.In psico-oncologia risulta essenziale avere un approccio che prenda in considerazione in maniera globale la persona, attraverso l’approccio chiamato bio-psicosociale, infatti il cancro minaccia non solo la dimensione fisica delle persona, ma anche quella psicologica, esistenziale e relazionale, per cui risulta fondamentale non solo prendersi cura del benessere fisico attraverso le cure, l’alimentazione adeguata, l’attività fisica, ma anche del benessere psicologico e relazionale.
La neoplasia ematologica colpisce primariamente l’identità corporea con i grandi cambiamenti che spesso le terapie producono: perdita dei capelli, perdita di peso, dolore, nausea e vomito, astenia. Questi cambiamenti hanno un effetto sullo svolgimento della propria quotidianità, causando a volte delle limitazioni, la perdita dell’autonomia e la necessità dell’aiuto dell’altro. Anche l’alimentazione, la sessualità e il lavoro vengono sconvolte e improvvisamente diventano difficili. Tutti questi aspetti hanno un’influenza anche sugli aspetti psicologici, proprio per l’inscindibile inter-relazione tra corpo e mente, tra biologico e psichico. Ogni persona affronta la malattia in modo estremamente soggettivo, per cui i vissuti emotivi cambiano da persona a persona. Sarà comunque del tutto normale provare sentimenti quali rabbia, paura, colpa che possono talvolta trasformarsi in sintomi ansiosi, quali insonnia, agitazione, difficoltà di concentrazione, o in sintomi depressivi, quali apatia, mancanza di appetito e abbassamento dell’umore. Potranno emergere vissuti di inadeguatezza relativi al cambiamento dell’immagine corporea, alla difficoltà di programmare il proprio futuro, allo gestione dello stress per i tempi di attesa alle visite, agli esiti degli esami, ecc. Inoltre il tumore ematologico porta con sé la difficoltà di identificarlo e visualizzarlo nella propria mente in quanto esso si localizza nel sangue che scorre in tutto il nostro corpo.
A livello esistenziale compare un senso di insicurezza, di instabilità, di sconvolgimento. Spesso vengono sconvolte le convinzioni sull’esistenza, ci si trova a confrontarsi con quella che viene definita da V. Frankl la “tragica triade”: il dolore, la colpa e la morte. Spesso da questo confronto nascono nuovi significati, la sofferenza viene trasformata in crescita sul piano umano, dalla colpa può derivare un bisogno di cambiamento e dalla transitorietà della vita può nascere un incentivo per prendersi la responsabilità delle proprie azioni, diventando artefici delle nostre scelte.
Anche le relazioni subiscono dei cambiamenti, muta il nostro senso di appartenenza a sistemi micro-sociali, quali la famiglia, gli amici stretti, e macro-sociale, quali le relazioni al lavoro, la comunità ecc.Il paziente percepisce un cambiamento nel modo in cui l’altro, significativo o meno, lo vede, si relaziona a lui, spesso sentendo minacciata la propria identità, il proprio ruolo, il senso di appartenenza. Talvolta emergono sentimenti di abbandono, solitudine ed emarginazione. Appare evidente come la malattia onco-ematologica sconvolga tutte le dimensioni che caratterizzano l’esistenza. Il ruolo dello psicologo in un reparto onco-ematologico per adulti deve tenere a mente l’influenza di tutti questi aspetti, dando ascolto, supporto ai pazienti, accogliendo il loro vissuto emotivo, aiutandoli ad adattarsi, a dare nuovi significati alla malattia, ad elaborare i vissuti di perdita che la malattia accompagna, fornendo strategie per vivere al meglio questo momento della vita ed aiutarli a mobilitare le loro risorse per affrontare tutto quello che accompagna la diagnosi di neoplasia ematologica. Un altro compito importante è anche quello di “educare” alle emozioni, ad insegnare a riconoscerle, a dar loro un nome, ad accettarle e ad esprimerle tutte, comprese quelle che vengono stigmatizzate come negative, come la tristezza, la rabbia, la colpa, ecc. perché fanno parte di un percorso di elaborazione che porta all’accettazione della malattia e all’adattamento.
La comunicazione della diagnosi crea uno sconvolgimento emotivo, che richiede al paziente un nuovo adattamento ad una realtà che non può controllare e che mette in crisi il proprio equilibrio psichico, le proprie relazioni sociali e il proprio sistema di valori. Questi aspetti richiedono al paziente di sviluppare un nuovo assetto mentale per fronteggiare profondi sentimenti di ansia, angoscia, paura, rabbia, demoralizzazione, depressione e perdita della propria salute fisica. E proprio questo senso di perdita che la malattia porta con sé richiede un processo di elaborazione che è molto simile a quello che avviene per un lutto. E. Kubler Ross ha descritto le fasi che si affrontano durante questo processo elaborativo che conduce all’accettazione della malattia. Queste fasi spesso si alternano e ritornano durante il percorso e durante le fasi di malattia (diagnosi, cura, follow-up, ecc). La prima fase è chiamata di shock. Compaiono sentimenti di incredulità, anestesia affettiva, angoscia. Il paziente usa difese quali la negazione o il rifiuto, che si manifestano con frasi come “no, io no”, “non può essere vero”, “non ci posso credere”. Queste difese inizialmente sono funzionali all’elaborazione, permettendo di dilazionare un confronto diretto e crudo con la malattia. La seconda fase di reazione, in cui la realtà si impone con tutto il suo peso. In questa fase emerge prepotentemente la rabbia diretta in tutte le direzioni, dai medici ai familiari a tutto ciò che si pensa possa essere stata la causa di malattia. La malattia viene vissuta come un’ingiustizia. Le reazioni possono essere di richiesta di aiuto o di totale chiusura.
La fase successiva si chiama patteggiamento, in cui c’è il tentativo di reagire all’impotenza cercando di spiegarsi perché è arrivata la malattia. Si iniziano a trovare le strategie per riprendere, seppur in parte, il controllo della propria vita, investendo sulle proprie capacità di adattamento.
Segue la fase chiamata depressiva, in cui il paziente affronta ciò che sta accadendo, con vissuti di tristezza e dolore. I sentimenti depressivi sono reattivi alla situazione. In questa fase si impara a “convivere” con la malattia, c’è una ricerca di nuovi significati da dare al cancro come evento esistenziale.
L’ultima fase è l’accettazione, o meglio la presa d’atto di avere una malattia, sperimentando fasi di depressione e rabbia con intensità meno violenta, i nuovi significati attribuiti alla malattia aiutano ad andare avanti nel percorso di cura.
Nel percorso il paziente va aiutato a normalizzare il suo vissuto emotivo, informandolo su quello che può accadere e accettare che ogni emozione è importante viverla e non rifiutarla.
Per concludere, vorrei ringraziare AIL e il Prof. Semenzato, direttore dell’U.O. di Ematologia di Padova, per supportare il ruolo di psicologo, valorizzandone la funzione in un reparto come questo.
Trovate questo articolo nella rivista AIL sezione di Padova: Rivista AIL News n. 2/2019.